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“I torrenti si svuotarono e i mille rivoli del fiume divennero un canalone e uno scolo; l’aria diventò veleno, i villaggi
sui monti vennero abbandonati come per una pestilenza, gli uccelli migratori sbagliarono stagione e gli orsi non
andarono più in letargo. Venne anche il tempo in cui gli uomini divennero sordi a tutto questo perché già avevano
dimenticato l’erba, le piante e gli animali con cui avevano vissuto per millenni. Tacquero per la vergogna di
ammettere che tutto era già successo e che non avevano fatto nulla per impedirlo.
Eppure il fiume andava, era lì davanti ai miei occhi, carico di forza battesimale e rigeneratrice, in mezzo a tutto
questo. Si faceva carico dei nostri veleni e della nostra imbecillità. Era insieme pazienza e furia vendicatrice. Rinasceva
dopo ogni magra e ogni catastrofica piena. Sui suoi argini sentivo ancora fisarmoniche e vedevo nonni
prendere i nipoti per mano e dire loro: ecco, questo è il tuo fiume”.

Paolo Rumiz da “Morimondo”